Più di due metri di distanza da chiunque altro mentre si mangia, si beve o si sta senza mascherina, quarantena anche per chi è stato vaccinato se ha avuto un contatto stretto con un caso positivo al coronavirus, vaccino in una sola dose dopo un periodo variabile tra i 3 e i 6 mesi dalla malattia per chi ha già contratto il Covid, a meno che non sia immunodepresso. Sono questi alcuni dei punti salienti delle ultime raccomandazioni messe nero su bianco da Inail, Iss, Ministero della Salute e Aifa, che hanno stilato un documento dal titolo: “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione”. 

A fronte della circolazione di varianti del virus SarsCov2, per il distanziamento fisico un metro rimane la distanza minima da adottare ma, si legge nel rapporto, sarebbe opportuno aumentarla “fino a due metri, laddove possibile e specie in tutte le situazioni in cui venga rimossa la protezione respiratoria come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo”.

Per le persone con pregressa infezione da SARS-CoV-2 confermata da test molecolare è “possibile considerare la somministrazione di un’unica dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dall’infezione e entro i 6 mesi dalla stessa”. Fanno eccezione le persone con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, che, anche se hanno avuto il Covid, “devono essere vaccinate quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”.

Anche chi si è già vaccinato contro Sars-CoV-2, dopo un’esposizione ad alto rischio con un caso Covid, “deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione, a prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione”. Il vaccinato considerato ‘contatto stretto’ deve osservare, purché sempre asintomatico, 10 giorni di quarantena dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo al decimo giorno o 14 giorni dall’ultima esposizione.

“La vaccinazione anti-COVID-19 è efficace nella prevenzione della malattia sintomatica, ma la protezione non raggiunge mai il 100%”, si legge nella circolare. “Inoltre, non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da Sars-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti”. Si sottolinea anche che alcune varianti “possano eludere la risposta immunitaria” data dai vaccini e che “segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune varianti, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano”.

Nessun “liberi tutti”, dunque, nemmeno sul lavoro o in famiglia, per i vaccinati. Ogni lavoratore, inclusi gli operatori sanitari, “anche se ha completato il ciclo vaccinale, per proteggere se stesso, gli eventuali pazienti assistiti, i colleghi, nonché i contatti in ambito familiare e comunitario, dovrà continuare a mantenere le stesse misure di prevenzione, protezione e precauzione valide per i soggetti non vaccinati, in particolare osservare il distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate”.