“Sciam!”, il titolo dell’ottava edizione de Il Tempo dei Piccoli, con la direzione artistica di Bruno Soriato, è un invito che contiene in sé anche un implicito interrogativo che risuona dai tempi di Lu Colombo: andare, sì, ma dove? Una domanda a cui è doveroso rispondere nel momento in cui si cerca faticosamente (e a velocità intollerabilmente diverse) di uscire da un’emergenza sanitaria mondiale e si deve necessariamente immaginare cosa verrà dopo. Gli attivisti per il clima sono stati forse i primi a capire che esiste una sola soluzione per due crisi, quella climatica e quella sanitaria, apparentemente diverse: un sostanziale cambiamento di paradigma, una transizione ecologica che non può ammettere compromessi e che non può conciliarsi con il desiderio del “business as usual”, concedendo spazio a chi desidererebbe continuare ad estrarre combustibili fossili e a bruciarli, magari con il pretesto dell’idrogeno blu o con la promessa di sotterrare la CO2 prodotta attraverso fantomatici impianti di Carbon Capture and Storage. 

Il Tempo dei Piccoli, muovendosi incessantemente fra Scuola Salnitro – sede del suo lungo prologo – Castello Svevo Angioino, Vecchie Segherie Mastrototaro, Parco delle Beatitudini e Giardino Veneziani, prenderà il via proprio il 18 giugno alle 10.00, nella 148esima settimana di protesta dei Fridays for Future, associandosi allo sciopero globale indetto dal movimento studentesco ambientalista, con una duplice azione collettiva e un primo “Comizio d’Amore” – piccolo spazio destinato all’espressione libera di affetto verso il proprio pianeta – affidato alla voce di Giorgia Mira, attivista del movimento guidato da Greta Thunberg. 

I giovani che hanno protestato – e che continuano a farlo nei modi consentiti dal Covid – per le strade di centinaia di Paesi nel mondo, sono stati trattati troppo spesso con fare paternalistico, interpellati esclusivamente per un gioco di ruoli basato su photo opportunity e pacche sulle spalle. Quella dei Fridays for Future (e di tutti gli altri movimenti, da Extinction Rebellion a Sunrise Movement) è invece una unica, grande voce, che rimbomba nel silenzio di chi vorrebbe dare l’ennesimo calcio alla lattina, tra le poche associazioni che conoscono nel dettaglio e fanno proprio ciò che dicono gli scienziati dell’IPCC, che hanno dettato in maniera rigorosa la tabella di marcia e gli interventi ineluttabili da attuare per evitare la catastrofe climatica.

Ricominciare da capo, quindi, come dopo il diluvio universale, con un’Arca (ad opera degli Archimisti) che sabato mattina attraverserà il porto in corteo per raggiungere gli spalti del Castello. Un’arca abitata da bambini “animalizzati” dal cantiere curato dalla burattinaia Valentina Vecchio. A immaginare una città dei sogni ci penserà invece il cantiere curato da Cozinha Nomade, mentre Federica Soldani insegnerà a modellare l’argilla, Gianna Grimaldi a raccontar storie e per chi non conoscesse a fondo le qualità dell’ape, Angela di Ceglie e Manu Graziani, forniranno tutto il sapere necessario.

Un posto importante sarà ovviamente riservato al Teatro. Dopo essere entrati in punta di piedi ne Il mio giardino di Letizia Fata (venerdì ore 19,30), si potrà seguire il viaggio che compie una busta di plastica nel mondo con L’isola (sabato ore 20,30), insieme a Pia Wachter, Daria Paoletta, Mirko Lodedo de La luna nel pozzo. Domenica, mentre nel giardino botanico andranno in scena le Storie Selvatiche di Lorenza Zambon (18,30), Luigi D’Elia, premio Eolo 2020, condurrà gli spettatori tra le pagine di un grande classico come Zanna Bianca (domenica ore 20,30). Lunedì 21, giornata internazionale della musica, protagonista assoluto sarà un pianoforte a coda ospitato dal Castello Svevo, attorno al quale si esibiranno, dalle 17,00 alle 21,00, l’Orchestra Monterisi, Bembè Percussion Ensamble, Silvia Cappa e Anna Fre, impegnate a quattro mani nell’interpretazione de Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns, Giuliano di Cesare e Livio Minafra con il loro Concerto bizzarro, animato da vere e proprie esplosioni di colore e, infine, Mirko Lodedo in Piano-Terra.

Radio Città Bambina, supportata dai Fattapposta e guidata da Nunzia Antonino e Rossana Farinati, opererà tutto il tempo presso le Vecchie Segherie Mastrototaro, con ospiti del calibro degli scrittori Mattia Zecca, Tim Bruno e Daniele Aristarco, dell’attrice Lorenza Zambon, dell’inventore dei tautogrammi Walter Lazzarin. Si andrà poi letteralmente al mare con Giancarlo Attolico, in giardino con il kamishibai di Marluna Teatro, nel bosco con Marianna di Muro, in bici con Biciliae, al Cinema all’aperto con film dedicati alle famiglie, in viaggio con le fotografie di Thomas di Terlizzi, sugli alberi con Ilaria Carlucci. E non mancheranno, a compendio di ogni giornata, i Racconti dell’arca inventati da Marco Campedelli.

Il Tempo dei Piccoli rivendica quindi il protagonismo delle giovani (e giovanissime) generazioni e il loro ruolo determinante nel favorire una rivoluzione non più rimandabile. Occorre rimarcare la differenza tra chi chiede decisioni radicali e immediate e quella generazione di adulti che, con fare accondiscendente, un giorno si schiera con gli attivisti per il clima e il giorno dopo pretende di “correre”, “sbloccare tutto” e “semplificare”. Altrimenti l’apocalisse, la “decrescita felice”, il Paese che si ferma, le cavallette (almeno quelle ancora vive).

È tempo dei piccoli, di chi guarda al futuro e non ha la nostalgia canaglia di un Paese che scava e trivella. Il teatro, in questo senso, può essere il laboratorio ideale per liberare nuove possibilità di cambiamento, dove l’essenziale accordo creativo passa attraverso il sapersi connettere di ciascuno di noi. Educare è favorire in ognuno l’iniziarsi dalla naturale curiosità allo scoprire esprimendosi, al sapere relazionarsi comunicando, contribuire a svegliare, scoprire e ampliare gli interessi più profondi, seminando interrogativi. Il Tempo dei Piccoli cerca così di mettere in atto un processo di sensibilizzazione e costruzione di cittadini di una nuova società, che si adattano solo a quanto ritengono accettabile. Nella consapevolezza che, come scriveva Danilo Dolci, “non immaginare il diverso futuro possibile, ignorare il futuro che vogliamo, ci mutila e ottunde nel presente”.