“Sono orgoglioso, nel mio piccolo, di essere il creatore della prima birra artigianale biscegliese: le parole sono di Nico Ventura, co-proprietario e (fino ad ora) unico operatore all’interno di Ratto Matto, il primo birrificio della città dei dolmen. Un’attività aperta con passione, spirito di iniziativa e quel pizzico di incoscienza che contraddistingue chi propone una novità del genere in un luogo in cui la produzione della birra non è certo tradizione. Bisceglie 24 ha incontrato il giovane biscegliese, per fargli qualche domanda sulla realtà appena nata e sulle sue prospettive.

Chi o cosa ti ha ispirato? Perché proprio un birrificio?

Le bottiglie esposte hanno unicamente scopo dimostrativo. La birra prodotta viene infatti travasata in appositi fusti e spillata all’interno dei locali

“Ratto Matto è una scommessa mia e di Carlo Cassanelli (imprenditore biscegliese attivo nel settore della ristorazione, che già in passato aveva scelto Ventura come gestore di uno dei suoi locali, ndr). Per quanto riguarda l’ispirazione bisogna tornare un po’ indietro nel tempo: ho vissuto in Inghilterra per sette anni, dal 2000 al 2007 circa, e come molti italiani ho lavorato nella ristorazione, attività che mi ha permesso di mantenermi perfezionando la lingua inglese. Mi piaceva cogliere gli aspetti peculiari della cultura anglosassone, che ho cercato di riportare in Italia, una volta rientrato, anche in chiave lavorativa. Essendo un appassionato di birre già da prima che andassi in Inghilterra e vedendo il successo di quelle artigianali oltremanica ho pensato che potesse essere una buona idea promuoverla anche dalle nostre parti. Così, una volta tornato, ho iniziato a divertirmi producendo birra in casa, facendola assaggiare solo a pochi amici, tra i quali proprio Carlo. È stato lui a darmi fiducia sin dal primo momento, e se non avesse investito anche rischiando un po’, sarei probabilmente rimasto a produrre birra solo tra le mura di casa”.

Quando è iniziata l’avventura di Ratto Matto?

“Io e Carlo abbiamo avviato formalmente la società il 17 marzo 2016. Il fatto che fosse il giorno di San Patrizio, che nel mondo anglosassone è quello in cui si consuma più birra durante l’anno, è una coincidenza, ma mi piace pensare che il destino ci abbia messo lo zampino. Tre mesi dopo abbiamo ottenuto il capannone di via Berlino, dove ci troviamo adesso, e abbiamo iniziato ad acquistare le attrezzature. Dopo una trafila burocratica non priva di ostacoli, Il 1° marzo di quest’anno abbiamo finalmente iniziato la distribuzione della birra prodotta qui, al momento un’esclusiva di due locali di cui Carlo è proprietario”.

Anche la scelta del nome è abbastanza curiosa, il ratto evoca raramente immagini positive. Perché allora Ratto Matto?

Piccola coltivazione di luppolo all’interno della struttura.

“È un nome che ho scelto io perché musicale e divertente, rappresenta nel suo piccolo l’auspicio e l’ambizione che questa piccola realtà riesca ad espandersi anche grazie all’immediatezza del nome, oltre che alla qualità del prodotto. Per quanto riguarda l’immagine evocata, si ispira vagamente ai granai di una volta, vittime spesso di visite indesiderate da parte dei roditori di campagna. Nel creare il logo, però, ho pensato a un ratto ‘matto’ per la birra, più sofisticato, che si serve direttamente del prodotto finale. Il nome è piaciuto a quasi tutti i clienti con cui ho parlato, e ne sono felice”.

Come hanno reagito i biscegliesi alla novità?

“Molti ancora faticano a credere che a Bisceglie vengano prodotte e distribuite birre artigianali. Ma, superata una certa diffidenza iniziale, direi che sono piaciute, e questo mi dà forte stimolo non solo a continuare, ma anche ad alzare poco a poco l’asticella, proponendo periodicamente qualcosa di nuovo e perfezionando continuamente i prodotti”.

Sei stato influenzato dalla cultura anglosassone, che ha nella frequentazione dei pub e nel consumo di birra uno dei suoi punti fermi, e hai cercato di portare in Italia la tua esperienza. Quali sono le differenze principali e quali le parti in comune tra il nostro Paese e le Isole britanniche?

All’interno del birrificio anche una ricca libreria dedicata all’arte di produrre la birra

“La differenza principale è il ruolo del pub all’interno della giornata. In Inghilterra è un luogo in cui ritrovarsi con gli amici dopo il lavoro per due chiacchiere. Si resta per lo più in piedi, si consuma la birra e poi si torna a casa. In Italia, dove i pasti sono sacri, i pub sono frequentati all’ora di cena e la birra è un aspetto secondario rispetto al cibo.

Più che di cose in comune, poi, parlerei più che altro di un gap colmato per quanto riguarda il riconoscimento della diversità delle birre, sia da parte del cliente sia da parte del ristoratore: ricordo ancora bene i tempi in cui i menu riportavano ‘birra’ tra le bevande, indicando implicitamente solo un’anonima ‘bionda’ di produzione industriale. Adesso i clienti sono più smaliziati e hanno preferenze ben precise. I locali, dalla piccola paninoteca al ristorante, si stanno adeguando”.

Parliamo, allora, di queste nuove birre: quali sono e come si caratterizzano?

“Finora abbiamo prodotto e distribuito tre diverse birre, proposte, a mo’ di sperimentazione, in due locali di cui Carlo Cassanelli è il proprietario: si chiamano Janus, Amelie e Gold Rush. La Janus prende il nome da Giano, dio degli inizi della cultura romana, è una pale ale (birra chiara ad alta fermentazione) dedicata al territorio. Da poco è disponibile una versione chiamata Janus Super Hopped, che rientra nella definizione di ‘Session Ipa’, cioè leggera e adattabile al cibo che si è scelto per accompagnarla.

La Amelie, invece, è una golden ale belga fatta con luppoli americani. Più forte della Janus, sia come sapore sia come gradazione, ha come caratteristiche principali l’effervescenza e l’aroma fruttato.

Caratteristiche della Rustica all’interno del fermentatore

La Gold Rush, per concludere, è ispirata alle steam beer californiane, la cui tradizione inizia, come suggerito dal nome che le abbiamo dato, durante la corsa all’oro del XIX secolo nell’ovest degli Stati Uniti. È una birra a bassa fermentazione prodotta ad una temperatura leggermente più alta, racchiudendo in questo modo anche caratteristiche delle birre ad alta fermentazione.

Le due novità assolute, oltre alla già citata Janus Super Hopped, invece, sono la Rust e la Rue Du Champ: la prima è una birra rossa (il nome, in inglese, vuol dire ‘ruggine’, un richiamo quindi al colore della birra stessa), la seconda ambrata. Entrambe sono dedicate agli appassionati di birre dal sapore ‘campagnolo’, come quelle che secoli fa dissetavano i lavoratori dei campi, soprattutto nell’Europa Centrale”.

Quali sono i passaggi che portano i singoli ingredienti a diventare birra?

La sala di cottura

“Sintetizzando in maniera estrema: il mosto viene preparato facendo mescolare a determinate temperature, nella sala di cottura, acqua e malto, per permettere la trasformazione degli amidi in zuccheri. Poi avviene la filtrazione, in cui la parte solida viene separata dalla parte liquida. Dopo la filtrazione, la parte liquida viene portata ad ebollizione e ad essa viene aggiunto il luppolo, dopodiché avvengono i processi di fermentazione e maturazione: il mosto raffreddato viene trasferito in uno dei nostri cinque fermentatori, dove viene aggiunto il lievito. Il processo di fermentazione è mantenuto sterile da un gorgogliatore, che fa uscire l’anidride carbonica e impedisce allo stesso tempo l’ingresso di aria nel fermentatore. Perché la birra sia pronta ci vuole almeno un mese”.

La vostra produzione prevede l’imbottigliamento delle birre?

Ratto Matto dispone di cinque fermentatori di diverse dimensioni

“Al momento no. Le bottiglie che abbiamo nel birrificio hanno scopo puramente dimostrativo. Non nascondiamo una certa ambizione, ma visto che siamo all’inizio è bene tenere i piedi per terra. L’imbottigliamento, poi, necessiterebbe  una fase di ‘rifermentazione’ che per motivi pratici lascio a tempi futuri”.

Non temi che il consumo di birra artigianale nel nostro territorio sia solo una moda passeggera e che l’entusiasmo dei consumatori possa esaurirsi?

Con acqua, malto e lievito, il luppolo è uno degli ingredienti base della birra

“Credo che il successo delle birre artigianali sia figlio della nostalgia della genuinità rispetto all’industrializzazione. Tante persone vogliono sentirsi libere dai prodotti delle multinazionali e ora quelli artigianali hanno raggiunto anche prezzi competitivi, conquistando parte del mercato. È evidente, inoltre, l’esplosione della cultura della birra artigianale da vent’anni a questa parte. Lungi dal fare la guerra alle grandi aziende, sottolineo con orgoglio che la birra artigianale non è filtrata né pastorizzata, aiuta la digestione, contiene vitamine, sali minerali, polifenoli con proprietà antiossidanti. Gli standard dei birrifici artigianali italiani sono molto alti e non è più una sorpresa vedere le birre italiane premiate anche a livello internazionale. Potrebbe tranquillamente svilupparsi una tradizione che a lungo termine possa addirittura competere con l’impatto culturale ed economico della tradizione vinicola italiana.

Se poi si rivelerà essere solo una moda passeggera, penso comunque una cosa: facendo un esempio pratico, se prima la birra artigianale era consumata da cinque persone su cento, e ora da cinquanta persone su cento, passata la moda a resteranno magari in venticinque a berla regolarmente. Ed essendo venticinque maggiore di cinque, si tratterebbe comunque di un successo”.

Concludendo, quale futuro ti aspetti per Ratto Matto?

“Io e Carlo siamo ambiziosi ma non ci scordiamo che ogni passo deve essere misurato, tenendo conto delle nostre possibilità e della risposta della clientela. Gli obiettivi quindi si aggiornano quotidianamente. A lungo termine mi piacerebbe sviluppare tutta la filiera, anche se ci vorrebbe un intero campo coltivato per avere ingenti quantità di malto e luppolo, per produrre una birra italiana o addirittura biscegliese al cento per cento. Mi piacerebbe inoltre sviluppare il birrificio in modo tale da poter creare posti di lavoro, allargando gli orizzonti della nostra produzione. Poi, perché no, vorrei che diventasse una possibile attrattiva turistica, come si usa in Paesi con tradizione più radicata. Ovviamente non mi aspetto di avere subito questo tipo di impatto, ma incrociando le dita e lavorando con umiltà non è detto che risultati del genere non possano arrivare”.