La cantautrice biscegliese Erica Mou, dopo anni intensi fatti di teatro (“Un’ultima cosa” con Concita De Gregorio), cinema (nel film “Figli” scritto da Mattia Torre) e letteratura (il romanzo “Nel mare c’è la sete”, edito da Fandango) torna al primo amore: la musica. E lo fa con un nuovo disco, “Nature”, che ha un titolo dal triplo significato, come da lei stessa spiegato: un titolo che può essere letto in italiano, in riferimento alle nature diverse che coesistono, a volte conflittualmente, dentro di noi, in inglese, al singolare, pensando all’ambiente in senso lato, al mondo che ci circonda e con il quale è bene essere in una relazione positiva, ed infine in francese, nell’accezione di naturalezza, fare le cose senza nascondersi dietro troppi artifici.

Una ricchezza di senso che si riflette anche nell’uso di lingue diverse. L’italiano, ovvio, ma anche l’inglese, nelle canzoni scritte nel periodo in cui l’artista ha vissuto in Inghilterra, e persino il dialetto biscegliese. “La mia voce è un’altra quando parlo in dialetto, ha a che fare con la parte bassa del mio corpo, più con le gambe che con le spalle, va a pescare cose sotterrate”, ha spiegato Erica Mou presentando il suo ultimo lavoro. “Neinde”, pezzo dell’album in cui la cantante utilizza il dialetto della sua terra, è un brano nato quasi su commissione, quando Concita De Gregorio le chiese di scrivere un pezzo per il loro spettacolo prodotto dai Teatri di Bari. 

Doveva essere un modo per dare l’opportunità a cinque importanti voci del Novecento come Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Maria Lai e Lisetta Carmi, di confessare “un’ultima cosa da dire”, raccontando chi erano state e chi per sempre saranno, donne che al loro stesso funerale si prendono un momento per dire un’ultima cosa e descriversi. Così la cantante biscegliese ha cercato qualcosa dentro di lei che le facesse pensare alla morte e alla vita allo stesso tempo e l’ha trovata usando la lingua del suo, del nostro, paese. Ha scritto così un brano che “prova a racchiudere dentro ad un consiglio la bellezza dell’essere vivi”. 

L’intimità della lingua ci rimanda immediatamente ad una dimensione privata, al dialetto come strumento di relazione romantica con le parole dei vecchi e con il loro “piccolo mondo”. Il dialetto nelle sue due principali funzioni: la segretezza del proprio paese, qualcosa di prezioso, da custodire e proteggere, e il respiro ampio della poesia, irrimediabilmente universale, arte maggiore dell’osservazione della natura, canto per ritornare nei luoghi da cui si è andati via.

Il sesto album di Erica Mou è ascoltabile qui: https://lnk.to/EM_Nature