Un pubblico numeroso ha accolto ieri sera, venerdì 5 ottobre, gli ospiti dell’incontro “Le braccia aperte della Siria. Quali speranze per questa comunità ferita?”, organizzato dalla comunità parrocchiale di san Silvestro e da Pax Christi con il patrocinio del Comune di Bisceglie.

Sono intervenuti Monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, Monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente Pax Christi Italia, Mervat Sayegh, giovane studentessa siriana. Moderatore dell’incontro, invece, è stato don Christian Medos, consigliere nazionale Pax Christi. Presente anche il sindaco Angelantonio Angarano.

A seguito dei saluti di Monsignor Leonardo D’Ascenzo, arcivescovo di Trani – Barletta – Bisceglie, il vescovo di Aleppo ha riportato alcuni dati circa la guerra in Siria; si parla, infatti, di una popolazione di 23 milioni di abitanti, prima del conflitto, metà della quale è stata costretta ad abbandonare la propria terra natía, 5,4 milioni di siriani fuggiti all’estero, che hanno trovato rifugio in Turchia, Libano e Giordania. E ancora 2 milioni di bambini senza scuola, 13 mila impiccati e 60 mila morti sotto tortura. “La Siria, prima del conflitto”, ha esordito Mervat Sayegh, “era un luogo molto tranquillo, in modo particolare Aleppo, la città in cui sono vissuta. Era un esempio di Paese, in cui si incontravano culture differenti e dove i suoi abitanti si aiutavano l’un l’altro”. “Adesso”, continua, “imperversa la paura e la gente nutre il timore che un individuo possa essere contro di te o con te. Nonostante ciò, la comunità siriana è diventata più unita”.

“Ad una cultura polemica”, ha continuato Monsignor Ricchiuti, “riprendendo l’accezione greca del termine pólemos, che significa guerra, dobbiamo sostituire una cultura irenica, in cui eiréne indica pace. La pace non deve mutarsi in una mera questione politica, frutto delle nostre convenzioni, è necessario, invece, che attraverso una cultura di pace, si faccia pressione politica”. “La pace, inoltre”, ha aggiunto il presidente di Pax Christi, “ha un compito pedagogico; infatti è opportuno che sin dall’infanzia il bambino cresca nella cultura del dialogo e dell’ascolto dell’altro”.

In merito alla paura più grande per il proprio Paese, Mervat Sayegh, non celando l’emozione, ha asserito: “Ciò che mi tocca di più sono i bambini nati nella guerra, i quali non sanno cosa significhi giocare e vivere in un luogo sicuro. In guerra la priorità è sopravvivere e non divertirsi e questi bambini hanno perso il futuro”. “Nel momento in cui sei sotto le bombe”, ha poi sottolineato la giovane studentessa, “l’unico elemento a cui ti aggrappi è la fede, non ti servono la tua intelligenza né tantomeno la tua laurea”. “Quando si perde tutto”, ha proseguito Monsignor Audo, “la fede ti consente di tornare all’essenziale e di restare in silenzio davanti all’amore di Dio”.

“Aspetto”, ha concluso Mervat Sayegh, “che le persone mi guardino come Mervat, una ragazza di 26 anni, che vive e sogna come tutti gli esseri umani”.