Ore 8 del mattino di martedì 22 marzo, Bruxelles viene scossa da due esplosioni all’aeroporto  internazionale Zaventem, venti minuti dopo una terza esplosione alla stazione della metropolitana di Maelbeek, nel cuore del quartiere che ospita i palazzi istituzionali della Unione Europea. Almeno 34 morti, oltre 200 feriti e la certezza che il terrore è tornato a far visita ad una delle capitali europee.

Una giornata che non dimenticherà mai più anche Angela Racanati, 33enne biscegliese residente ad Anversa e consulente e trainer informatica alla Dg Employment  a Bruxelles.  “Ero in treno quando mia madre da Bisceglie mi ha detto che c’erano state 2 esplosioni all’aeroporto. In poco tempo ho notato che i viaggiatori erano al telefono, lo sapevano tutti, ho subito contattato un amico che lavora in aeroporto per sapere se stesse bene, dopo un’ora paradossalmente era lui che chiedeva a me se stessi a Malbeek e se stessi bene”.

“Stavo per scendere come ogni mattina verso la stazione centrale – continua nel racconto la 33enne biscegliese – quando una mia collega che era in metro mi dice che c’è stato un incidente a Malbeek. Di incidenti ne capitano spesso in metro, treno che si rompe per motivi tecnici, ritardi, suicidi sui binari. La mia collega era su un convoglio che è stato fermato a pochi metri da Malbeek. Sono dovuti scendere tutti nel buio dei binari e camminare sino alle uscite di sicurezza dei tunnel metro. L’attentato era avvenuto in quel momento, per fortuna la mia collega non era li, per fortuna hanno bloccato tutto in tempo”.

“Io nel frattempo, appreso che le linee 1 e 5 erano bloccate ho deciso di non scendere alla stazione centrale ma a quella successiva, la stazione sud da cui partono le linee 2 e 6, che arrivano ad un’altra fermata: “arts-loi” comunque vicina al mio ufficio. Una volta giunta alla stazione sud vengo a sapere che l’esplosione era un attentato terroristico, mi avvio verso la metro che parte all’interno della stazione, ma dei poliziotti bloccano l’entrata a tutti dicendo che la metro è chiusa”.

“In quel momento mi sono sentita in trappola, ero bloccata in una stazione dove partono i treni per Londra e per Parigi, in più è una stazione malfamata. Ho subito realizzato di essere in pericolo perchè un altro attentato si poteva verificare anche li, insomma potenzialmente un obiettivo sensibile per i terroristi. Mi sono guardata attorno, la gente non sapeva dove andare, guardavo tutti i visi con il terrore che potessero essere dei kamikaze, ogni movimento attorno aveva un suo peso. Sono uscita dalla stazione per capire se c’erano bus che mi potevano portare a lavoro, o forse sono semplicemente uscita perchè avevo paura a restare li dentro”.

“I bus fuori erano pienissimi di gente e tra l’altro non so nemmeno dove portassero. Ho iniziato a vedere gente che piangeva – racconta la giovane biscegliese – piangevo anche io perchè il senso di isolamento, di distaccamento dalla realtà, di dolore per cio che stava accadendo e che non puoi controllare, ti rende inerme.  Una signora sulla sessantina con le lacrime agli occhi mi ha chiesto se sapevo cosa stesse accadendo, le ho detto dell’esplosione a Malbeek”.

“Ho deciso di tornarmene a casa ad Anversa, ho dovuto aspettare 15 minuti per il treno, 15 minuti di tachicardia e di gambe e mani che tremavano, immaginate i mille pensieri nella mia mente: arriverà il treno? Bloccheranno anche il traffico ferroviario? Succederà qualcosa? E se ci fosse un attentato proprio sul treno che sto per prendere? Migliaia di domande di questo genere”.

“Ero bombardata di messaggi e chiamate, whatsapp e facebook pieni, e non riuscivo a rispondere, mia madre mi ha chiamata in lacrime, sa che vado a Malbeek ogni giorno, è stato terribile”.