Non si tratta di un errore grammaticale, ma di un percorso, che fa dell’incontro con l’altro il suo valore aggiunto. S’intitola “sQuola Garibaldi” la neonata scuola di italiano per stranieri, curata da Carlo Bruni, direttore artistico del teatro Garibaldi, e da altri collaboratori tra cui il sociologo Mauro De Cillis. Il gruppo originario era composto da 30 ragazzi, di cui una quindicina ha continuato a frequentare due volte a settimana all’incirca. Adesso ci sono 22 ragazzi iscritti, con gruppi composti da 2 fino a un massimo di 10 ragazzi ed è arrivata un’ulteriore richiesta d’iscrizione di 24 persone tra cui 3 donne, che iniziano a frequentare da lunedì 12 dicembre. Provengono principalmente dal Gambia, dalla Costa D’Avorio, dal Senegal e dalla Nigeria e il più giovane di loro ha 18 anni, mentre il più anziano 33. Le lezioni, curate da insegnanti volontari, variano a seconda delle richieste dei ragazzi. Si parte dal “come ti chiami?”, fino a parlare delle loro vite e di filosofia e chimica, materie studiate dai ragazzi nei loro paesi d’origine. 

“Gli spunti sono due”, esordisce Carlo Bruni spiegando del progetto. “Il primo è lo scrittore Eraldo Affinati, il quale ha approfondito la figura di Don Lorenzo Milani, fondando nella Capitale la Penny Wirton, una scuola di italiano per stranieri pensata sulla filosofia di Barbiana”. “Il secondo motivo”, continua il direttore artistico, “è che il teatro non può essere soltanto un luogo d’esposizione, che resta avulso dai problemi attuali, bensì di relazione”.

Ai nostri microfoni è intervenuto anche Mauro De Cillis, collaboratore del progetto, che provvede all’accoglienza dei ragazzi e all’organizzazione delle lezioni. “Sospinto non da uno spirito caritatevole”, motiva De Cillis, “ma da uno specifico interesse personale ad incontrare storie e culture, di fronte alle quali non volevo e non potevo restare indifferente”. Ma c’è anche l’aspetto dell’inserimento lavorativo. “Abbiamo procurato un paio di macchine da cucire, poiché vi è un ragazzo che era sarto in Africa, da cui partirà un nucleo di sartoria sociale“, illustra De Cillis. “Cominceremo, infatti, a realizzare delle borse, che venderemo nelle serate di teatro e con quel ricavato ingenerare un piccolo flusso, attraverso cui trovare altri ragazzi a cui insegnare a cucire e magari realizzare abiti africani”. “Inoltre stiamo pensando”, continua De Cillis, “a forme d’impiego socialmente utili tra cui pulizia delle spiagge e di aiuole ed è opportuno sottolineare come otto di loro sono assistenti di sala durante gli spettacoli teatrali”. Sulle richieste che avanzano i ragazzi Mauro De Cillis fa notare come “una delle prime parole che hanno imparato e che ripetono spesso è integrazione nelle forme più disparate dal lavoro ai rapporti interpersonali. Inoltre l’elemento che è opportuno sottolineare è che sono i volontari in primis, oltre che i ragazzi, a divertirsi e a tornare a casa arricchiti”.

Assistiamo ad una lezione, tra i timidi sorrisi dei ragazzi e le loro emozioni. Dopo aver letto a turno il passo di un racconto, la docente esegue un dettato al fine di fissare meglio le parole, passando poi all’individuazione e coniugazione dei verbi. Uno di loro, di nome Madi, sottolinea come l’italiano sia una lingua molto complessa rispetto all’inglese, lingua ufficiale del Gambia e che gli piace leggere piuttosto che ascoltare musica o guardare la tv. E ancora il loro zelo e il desiderio di mettersi in gioco. Questi ragazzi ci esortano a pensare alle nostre vite, a quanto siano chiuse in un becero individualismo, a quanto ci manchi, come asserisce il sociologo Zygmunt Bauman nel suo libro “Stranieri alle porte”, “una coscienza cosmopolita adeguata al cosmopolitismo della nostra condizione”.