Quando si parla di giustizia è impossibile non sentirsi coinvolti e il cittadino italiano, al giorno d’oggi, spesso ha l’impressione che questa stia diventando sempre meno una reale garanzia. Nella serata di sabato 20 gennaio, nel “Fuori cartellone” di Libri nel borgo antico al Bookstore Mondadori “Vecchie segherie e altre storie”, è stato ospite il magistrato Francesco Caringella. Barese d’origine e romano d’adozione, ha presentato il suo ultimo libro dal titolo “10 Lezioni sulla giustizia”.

Nella splendida ed accogliente cornice del Vecchie Segherie, Caringella racconta da dove nasca l’idea di mettere su carta degli insegnamenti in tema di giustizia e legalità. Un cittadino ancora prima di magistrato che si immedesima nel popolo spiegando, con semplicità e con la passione verso il suo lavoro che lo contraddistingue, alcuni argomenti critici e non del tutto compresi. Accanto a lui, a moderare l’incontro, il giornalista Rai Fulvio Totaro.

“Il libro prende spunto dalle telefonate di mia madre che rimasta vedova si ritrovava a guardare una serie di programmi televisivi, da Uno Mattina a Quarto Grado, e mi chiamava per chiedermi perché i processi italiani durassero così tanto, perché i verdetti cambiassero nel corso del processo dando al cittadino la sensazione che la giustizia fosse casuale. Io le provavo a spiegare che la verità del giudice è relativa e la sentenza non è un dogma ma un’ opinione ma mia madre era l’esempio di una sfiducia che la gente ormai ha nei confronti della giustizia. Occorre la fiducia dei cittadini affinché la giustizia funzioni. Ma la sfiducia si genera anche a causa di una disinformazione e questo libro, con la sua imperfezione assoluta, vuole colmare questa lacuna con semplicità e consegnare alla gente le chiavi del palazzo di giustizia perché sono gli italiani a dover capire se c’è e cosa è la giustizia.”

Da sempre il cittadino cerca di capire come funzioni il ruolo del giudice all’interno di un processo e spesso la sua figura viene vista lontana da un’umanità che invece non cessa di esserci e che Caringella cerca di evidenziare attraverso le sue parole. Fa riferimento anche ad episodi di storia personale legate alle sue esperienza in tribunale o ai suoi genitori, storie quotidiane e del suo passato arricchite anche da simpatici aneddoti. “Il giudice non deve solo stabilire se è stato commesso un delitto ma anche il perché è stato commesso, stabilendo anche le ragioni, deve capire quale è la vicenda umana alla base del reato per dare il giusto peso. E’ un uomo che si rivolge ad un altro uomo, la giustizia è in fin dei conti uguaglianza e la verità che deve accertare non è assoluta ma probabilistica.”

Ripercorrendo alcuni vicende di cronaca e attualità dei nostri giorni viene affrontato il tema della giustizia a proposito della morte e di quanto sia considerato legittimo l’ “aiuto” a morire, come nel caso di Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio di Dj Fabo, uomo rimasto paralizzato dopo un incidente e che ha scelto di morire in Svizzera. “C’è una legge recente che deve ancora trovare concreta attuazione che ha affrontato il tema del confine tra interruzione delle cure, il suicido assistito e l’eutanasia. E’ importante chiarire come alcune volte l’assenza di una legge attribuisca al giudice un ruolo sacerdotale, politico, etico che non deve spettargli. Con tutti i suoi limiti una legge che risolve problemi medici, drammatici come la fine della vita è comunque una buona notizia.”

Dunque Caringella prosegue mettendo in evidenza il male principale della giustizia italiana ovvero la durata dei processi, troppo lunghi e spesso troppo sofferti. “In Italia abbiamo tre gradi di giudizio per ogni reato, il processo lungo deforma la giustizia perché diventa una pena per l’imputato innocente mentre quasi premia chi ha torto. Una riforma della giustizia deve partire da una riforma dei tempi snellendo le procedure, disboscando le norme, incentivando la produttività dei magistrati ma soprattutto incidendo sul profilo culturale perché se non sono i giudici ad essere lenti e le norme complesse ma sono gli italiani a demandare ai giudici problemi che non dovrebbero arrivare dinanzi ad un tribunale a causa dell’individualismo e dell’indifferenza alle regole che purtroppo caratterizza ognuno di noi.” – E continua – “Abbiamo un numero di reati incredibilmente alto rispetto ad altri paesi del mondo. Ma una giustizia penale deve essere una giustizia relativa a fatti di gravità tale da giustificare il carcere, una serie di reati come piccoli problemi fiscali, che riguardano l’economia e la pubblica amministrazione sarebbero più facilmente affrontati se si applicassero sanzioni amministrative, professionali più efficaci e veloci quindi la depenalizzazione è l’unica risposta possibile, compatibile con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.”

E ci si chiede se parlare di giustizia riparativa, oltre a ridurre la popolazione carceraria, potrebbe ridurre il conflitto sociale: “La pena deve avere innanzitutto una funzione repressiva, una funzione preventiva e cioè evitare la reiterazione, una funzione rieducativa ma anche una funzione riparatoria. Il problema sono le condizioni dei carceri che in Italia risultano difficili e disumane. Il carcerato può riabilitarsi solo se vive in un luogo che profumi di normalità.”

Caringella sa arrivare al pubblico e lo fa senza filtri esprimendo la sua idea di giustizia, quella che va trasmessa anche ai ragazzi perché informare è essenziale in ogni contesto, in famiglia, in chiesa, in televisione. E’ l’informazione che potrebbe limitare il senso di sconforto dei cittadini italiani che chiedono di saperne di più, e la sala gremita del Bookstore biscegliese lo ha dimostrato, perché in fondo e per fortuna, nella giustizia nessuno ha mai smesso di crederci.