Un simpatico siparietto ha aperto ieri sera, al cospetto del castello svevo – angioino e di una folta platea, la presentazione di “Alla luce del Mito”, il libro di Marcello Veneziani che ha chiuso l’ottava edizione di Libri nel Borgo Antico, la tre giorni letteraria che ha accolto a Bisceglie, dallo scorso venerdì 25 agosto, più di cento autori.

L’incontro infatti ha subito preso le pieghe di una chiacchierata familiare fra l’autore e suo nipote, Gianluca Veneziani, moderatore dell’incontro, che ha confessato come la capacità di fascinazione di suo zio, il suo mito, gli ha permesso di diventare giornalista. Uno zio che ha svelato miti personali legati alla tradizione, all’infanzia, a Bisceglie, che ci si porta addosso soprattutto quando si è lontani. Perché così come si ritorna a casa, il mito è il ritorno all’origine, il racconto di una nascita: “Noi nasciamo col mito dentro”, ha confessato Veneziani. Quel “facciamo che io ero…”, i mostri e le fantasie di bambino non sono altro che la dimensione mitica del fanciullo, che diventerà poi uno scrittore, un pilota, un operaio, per poi ritornare fanciullo, coi capelli color neve.

Il mito del calcio, della politica, il mito del sud. Lo sguardo poetico di chi ritorna, che ritrova la bellezza nel già visto e vissuto, ma che ha imparato a “guardare il mondo con altri occhi”, come recita il sottotitolo del libro. Il mito dell’Italia, un “Paese che, se stiamo ai dati, è un Paese già morto”, ha dichiarato Marcello Veneziani, che non ha smesso di credere, però, che “la forza dell’Italia sta nel prendere consapevolezza del suo essere mito, dalla sua arte, dalla cultura e la creatività”. É intorno a questo che, secondo l’autore, occorrerebbe costruire l’economia, dimostrando così che il mito non è solo mera astrazione, ma opportunità di un nuovo rinascimento.

Ciò si scontra, però, con l’odierna “mitologia surrogata”, madre di idoli dalle identità povere, concentrati su sé stessi, poveri della forza generatrice, caratteristica dei grandi miti, che prendono invece forma dal luogo, dal terreno locale, per parlare del mondo intero, e di tutti gli uomini.

Non ultimo il mito della tecnologia, della tecnica. “Le mani hanno senso solo se si legano agli occhi”, ha ribadito l’autore, facendo presente che il fare ha bisogno di un pensiero, di una visione più grande, di una motivazione. Ma il mito è anche quello dell’amore, una “forza cosmica, un principio che genera il mondo”, così l’ha definito il filosofo e giornalista.

É così che gran parte della nostra vita sembra essere indissolubilmente legata al mito, alla dimensione ancestrale della nostra esistenza che ha portato Veneziani a dire: “Abbiamo bisogno di una vita magica”.