Dal Bello, il Bene! E’ il titolo del percorso intrapreso da un gruppo di volontarie, tra le quali diverse ragazze biscegliesi, nella Casa di Reclusione Femminile di Trani da qualche mese. La scelta del nome ricade proprio sulla capacità di riconoscere la bellezza che alberga dentro di sé, sperimentandola attraverso la gratuità e la libertà dell’incontro e di trasformarla in bene per noi e per gli altri nel luogo del “Male” per antonomasia. Il percorso delle volontarie, però, ha preso avvio lo scorso anno. Un tempo in cui, attraverso laboratori di manualità, di musica, ma anche dal semplice stare insieme, si è instaurata quella fiducia necessaria per collaborare e per raccontarsi, tanto da arricchire il calendario d’appuntamenti settimanali.

“In realtà non sapevo bene cosa aspettarmi”, esordisce Francesca, una delle volontarie, “volevo fare del volontariato e scoprire realtà diverse dalla mia. Sono partita con l’idea di aiutare, poi ho capito che non sono una supereroina e che si tratta semplicemente di condividere del tempo con altre persone, proprio come quando si va al bar con gli amici o in palestra. Ore, minuti, secondi che molto spesso sprechiamo, ma che in quel contesto sono preziose”. “Mi porto dentro”, continua, “le parole di una donna pronunciate durante un’attività in cui dovevamo condividere cosa ci piace. Alcune di loro hanno affermato la musica, altre cucinare, altre ancora il mare, lei, invece, ha specificato che le piace la vita, perché se quest’ultima non ci fosse, tutto ciò che di bello avete in precedenza elencato, non ci sarebbe”.

“L’esperienza del carcere”, racconta Alba, un’altra volontaria, “arricchisce molto in quanto in quell’oretta, senza cellulare, ti rendi realmente conto di ciò che sei tu come persona e ciò che è l’altro, non inteso come storia, bensì come scoperta. In quelle poche ore vissute in quel luogo ho sperimentato proprio il concetto di “relazione”. Un relazionarsi genuino che tutto dona e nulla pretende in cambio. È questo ciò che voglio conservare di quest’esperienza vissuta, che mi auguro di poter proseguire”.

E ancora la testimonianza di Ivana: “pensavo di aiutare qualcuno e invece sono stata aiutata, perché nel quotidiano è difficile soffermarsi sui temi che sono stati trattati con le donne. Parlando con loro mi sono resa conto di quelli che sono i miei punti deboli, ho visto alcune tematiche da altri punti di vista e mi sono resa conto di quanto a volte siamo prigionieri di noi stessi”. “In carcere”, spiega in conclusione Ilaria, “ho compreso la bellezza della diversità e quanto l’incontro con l’altro t’arricchisca, oltre l’età, la provenienza e la religione.  E soprattutto quanto sia difficile, ma al tempo stesso preziosa la comunicazione con l’altro, il giusto peso da assegnare alle parole, in modo da non ledere la sensibilità dell’altro. L’augurio è quello di poter continuare su questa strada e che altre donne possano arricchire i nostri passi”.