“Mi accorgo che i giornali sono tutti uguali. E soprattutto usano e si scambiano sempre gli stessi giornalisti. C’è quello che scrive di politica su un quotidiano, di cinema su un settimanale di sinistra e di letteratura su un mensile di destra. C’è quell’altro che scrive contemporaneamente sul Corriere della Sera, su un settimanale femminile e su un mensile delle Ferrovie dello Stato. E naturalmente vignette e satira politica ovunque, perché la satira non ha padroni, quindi sta bene sotto ogni padrone. Insomma, un unico, grande giornale”. A quel punto Nanni Moretti, in una celebre scena di Aprile, si sdraia e si avvolge nel Giornalone Unico arrotolato come un tappeto. È con questa citazione che si apre lo spettacolo “Ball Fiction” di Marco Travaglio, presentato ieri a Bisceglie nella rassegna “42 gradi, idee che bruciano”, promossa da Vecchie Segherie Mastrototaro e sistemaGaribaldi sulla base di un format nato da un’idea di Carlo Bruni e Mauro Mastrototaro, con la cura di Mariablu Scaringella e Viviana Peloso.
Ciò che Nanni Moretti non aveva previsto diciotto anni fa è che la sua profezia sarebbe diventata realtà e che nel marzo del 2016 l’enorme operazione “StampubblicaXIX” sarebbe stata salutata con entusiasmo dalle grandi firme delle tre testate, prontissime, in uno slancio fantozziano, a spiegare ai propri lettori quanto fossero buoni e umani i loro nuovi “padroni”. Un passaggio epocale che è stata la ratifica di una realtà esistente da tempo, fin dai tempi del film morettiano del 1998, quando la grande stampa già scriveva (e non scriveva) le stesse cose, scambiandosi direttori e firme perché perfettamente intercambiabili. Così ancora oggi, i maggiori quotidiani italiani, sempre più impegnati in una lotta senza frontiere alle “fake news” (degli altri), dalle cui colonne scrivono novelli giustizieri mascherati (alla Shpalman), possono permettersi di scrivere tutto e il contrario di tutto senza tema di smentita (e senza arrossire).
Così si affida a prestigiosi editorialisti, spesso ultrasettantenni, il compito di parlare di ambiente (generalmente per sponsorizzare una grande opera, come il Tav, da presentare come “ambientalista” e “pulita”, nonostante le tonnellate di Co2 che verrebbero prodotte per scavare il tunnel e successivamente per mantenere attivi gli impianti di raffreddamento), di giovani, di futuro. A patto che questi giovani non facciano l’errore di unirsi ai “nuovi brigatisti” che bloccano i cantieri, agli “anarchici” che manifestano sul territorio, e non pretendano di immaginare un futuro diverso da quello che hanno progettato per loro i “fautori del progresso”. Anche quelli che fino a ieri avrebbero tranquillamente prosciugato il Tevere per farci una lingua d’asfalto a tre corsie, come suggeriva Gallo Cedrone nel film di Verdone, si intestano battaglie che non hanno mai combattuto. Per anni la necessità è stata quella di “sbloccare” l’Italia, di “salvare” l’Ilva, non certo l’ambiente o i lavoratori, ma il salto acrobatico è da sempre lo sport preferito di chi fino a ieri ci diceva che gli ambientalisti erano pedanti “fanatici”, “pazzi” e “complottisti”, ma poi si intenerisce quando li vede sfilare in piazza (se l’età anagrafica dei manifestanti è sotto i 16 anni). Una carezza sul viso e una pacca sulla spalla, poi di nuovo a gridare che il “Paese non si ferma”.
Travaglio, nel suo nuovo Ball Fiction, prosegue un discorso cominciato anni fa con lo spettacolo Anestesia Totale, svelando con ironia l’improbabile “scala di priorità” della stampa italiana, capace di dedicare 65 prime pagine a Spelacchio e solo qualche trafiletto alla sentenza di primo grado sulla Trattativa Stato-Mafia, quella che ha di fatto riscritto il finale della Prima Repubblica e l’inizio della Seconda, condannando per lo stesso reato (violenza o minaccia a corpo politico dello Stato) uomini di mafia come Leoluca Bagarella e Antonino Cinà (gli unici picciotti superstiti fra gli imputati) e uomini dello Stato come Antonio Subranni, Mario Mori, Giuseppe De Donno del Ros e Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia. Per vent’anni si è letto sui giornali della “presunta trattativa”, della “cosiddetta trattativa”, della “supposta trattativa”. Poi si è passati dalla delegittimazione alla rimozione, credendo possibile ignorare che, nel 1992, alcuni di quelli che giuravano guerra dura alla Mafia, sottobanco trattavano coi mafiosi, rafforzando la criminalità organizzata e prolungando la stagione delle stragi. È lo stesso silenzio che ha avvolto, solo qualche settimana fa, la sentenza di primo grado del processo ‘Ndrangheta Stragista, che ha messo in connessione per la prima volta le bombe e gli attentati di Cosa Nostra nel 1992 e nel 1993 con gli omicidi e le stragi della ‘ndrangheta nel 1993 e nel 1994.
Il grande Giornalone Unico, spiega Travaglio, è anche quello che per mesi, durante il primo governo Conte, ha dipinto Matteo Salvini come un “piccolo Duce”, alimentando una narrazione lontana dai fatti e aiutando la propaganda dello stesso Ministro dell’Interno, che sul taglio dei costi dell’accoglienza e sulla lotta ai clandestini ha creato il suo consenso. È a lui che il direttore del Fatto Quotidiano dedica la chiusura del suo lunghissimo spettacolo. Dipinto come colui che aveva in mano l’esecutivo e che decideva ogni mossa, Salvini ha prodotto, durante il suo mandato al Viminale, un solo provvedimento: il cosiddetto Decreto Sicurezza, quello che ha decretato la scomparsa dei servizi di integrazione, come abbiamo anche documentato a Bisceglie (LEGGI QUI), costringendo i richiedenti asilo a trasferirsi nei più grandi Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e ad abbandonare i più piccoli ed efficienti Sprar. Quindi, per i richiedenti in attesa di risposta niente lezioni di italiano, niente corsi di orientamento al territorio o al lavoro, nessuna attività di inclusione sociale. Mentre da un lato il decreto Sicurezza ha abolito, o quasi, la protezione umanitaria, con l’effetto di aumentare il numero di irregolari sul territorio, dall’altro le circa 144mila persone che abitavano i centri di accoglienza si sono ritrovate prive di qualsiasi strumento reale di integrazione. Quindi esposti al lavoro nero, o peggio, al richiamo di attività criminali. Il Giornalone Unico, evocando costantemente il fascismo e la dittatura, ha dimenticato di svolgere il suo lavoro: dimostrare con dati e fatti la totale inefficienza di determinate politiche nel raggiungere proprio quei risultati che i sostenitori di quelle politiche dicevano di voler ottenere.