Il Cineclub Canudo di Bisceglie vince il bando “Italian Council” del MiBACT, classificandosi secondo con 96 punti su 100, a pari merito con Istituzione Bologna Musei. Dei 19 progetti complessivamente finanziati in tutta Italia, la candidatura del Circolo del Cinema biscegliese è tra le uniche due provenienti dal Sud, ma la sola di queste a non avere alle proprie spalle una istituzione museale “ingombrante”. Ad essere stato finanziato con 100.000 euro (dei 125 che ne servono) è un corposo progetto espositivo dedicato a Paolo Gioli. Un progetto che Antonio Musci e Daniela Di Niso del Cineclub Canudo inseguono da circa 10 anni e che presto si concretizzerà nell’esposizione di oltre cento opere dell’artista italiano, attraversando 50 anni di attività di Gioli ed effettuando una ricognizione critica sul corpus della sua opera filmica, fotografica e pittorica nel periodo 1969-2019. L’intero progetto, intitolato “Paolo Gioli Antologica/Analogica – L’opera filmica e fotografica (1969-2019)” è a cura di Bruno Di Marino, che Gioli lo studia da anni (è lui ad aver curato il cofanetto RaroVideo) e che con il Cineclub Canudo collabora proficuamente dal 2007 per il (non)festival Avvistamenti. 

Il progetto si svilupperà tra l’Italia, dove si svolgerà una “anteprima” dell’esposizione, e la Cina, che lo ospiterà nelle sale del Three Shadows Photography Art Center di Pechino (4600 metri quadrati di spazio espositivo e circa 200.000 visitatori ogni anno), con cui è stato stretto un partenariato internazionale grazie al lavoro svolto in questi mesi da Rosario Scarpato. Due i momenti fondamentali in cui si articolerà la personale: una esposizione dei lavori fotografici di Gioli (Polaroid, Cibachrome, stenopeiche, bianco e nero, luminescenti, stampa a contatto, photofinish) e delle sue serigrafie di “rauschemberghiana” memoria, ed una rassegna di circa 40 film, creati con procedimenti analogici inventati o reinventati da Gioli, “l’uomo senza macchina da presa”, per ribaltare il titolo vertoviano, da tempo impegnato in un “prolungato gesto verso la spoliazione di una tecnologia di consumo, tossico della creatività pura”. Così il cinema di Gioli, che può essere anche frutto di un utensile autoprogettato che restituisce immagini “liberate dall’ottica e dalla meccanica”, si affida spesso ad un meccanismo visivo stereostroboscopico che rivela la natura “semi-scientifica” di alcune sue opere (Secondo il mio occhi di vetro, 1972), recuperando quel contatto “erotico” tra la superficie sensibile e l’oggetto che risale alle prime calotipie di William Fox Talbot.

Attraverso questo percorso tra le “ambiguità, le ridondanze e le deficienze” (parafrasando Jorge Luis Borges) dell’opera di Gioli, il Cineclub Canudo, nella consapevolezza di stare organizzando una retrospettiva per forza di cose “incompleta”, si pone ancora una volta l’obiettivo che Carlo Levi spiegava essere quello primario delle esposizioni e delle mostre: “far conoscere veramente ed efficacemente gli artisti moderni”. Può sembrare una banalità, ma nell’era del “predominio del contenitore” sulle opere che esso contiene, è una presa di posizione ben precisa: presentare le opere escludendo “ogni approssimazione, ogni provvisorietà, ogni arbitrarietà”. E se è vero, sempre proseguendo nel solco di Levi, che “ci sono artisti sessanta-settantenni, la cui opera deve ancora trovare l’apprezzamento pubblico, anche delle giovani generazioni, che debbono essere esposti come maestri antichi, con la stessa esauriente capacità di conoscenza”, allora Paolo Gioli è sicuramente uno di questi. Nella loro decennale attività, Antonio Musci e Daniela Di Niso, scardinando la “didattica del contenitore” e riaffermando invece quella delle opere, hanno dimostrato che si può fare cultura anche fuori dal “sistema dell’arte”, con la bontà delle proprie idee e del proprio lavoro (sia quando questo è sovvenzionato/supportato, sia quando non lo è).

Nel corso della sua attività, anche di quella più recente nel Laboratorio Urbano di Palazzo Tupputi, il Cineclub Canudo ha esplorato gli ambiti più disparati della produzione artistica, esponendo espressioni figurative diverse, sia per cronologia che per tipologia di manufatto, ponendosi sempre il problema della divulgazione della cultura figurativa. E se c’è un lontano collegamento tra Ludovico Ragghianti e Paolo Gioli (che proprio dopo essersi imbattuto in una riproduzione in bianco e nero della “Leggenda dei tre vivi e dei tre morti” di Buffalmacco, trovata sfogliando le pagine di un numero di Sele-Arte, ebbe l’idea della stereometria spaziale di “Scomponibile”, 1966), questo collegamento è invece evidente con i due fondatori del Circolo del Cinema biscegliese. Proprio come Ragghianti, la cui attività espositiva ha avuto come epicentro la “sua” Firenze, specialmente dopo l’alluvione, così Antonio Musci e Daniela Di Niso hanno affermato nel tempo il legame indissolubile tra le iniziative di cultura da loro proposte e la necessità di infondere e recuperare vitalità nel territorio in cui operano, scelto non tanto per rilevanza biografica, ma per presa di posizione politica.

Adesso che i due si trovano a maneggiare l’opera continua, polimorfa, circolare, prolungata nel tempo, di Gioli, allo stesso tempo irriproducibile ed interminabile senza per questo creare paradosso, ci si chiede in quale città e in quale spazio sarà allestita e organizzata l’anteprima italiana del progetto che proseguirà in Cina. La risposta dovrebbe essere scontata. E invece.