In occasione della Pasqua, riportiamo integralmente il messaggio di don Mario Pellegrino, sacerdote diocesano fidei donum in Brasile nella diocesi di Pinheiro.

“Carissimi amici in Cristo,
leggendo un articolo brasiliano su Paolo VI, mi sono soffermato a riflettere su una frase pronunciata in occasione della Pasqua, dove rivolgendosi a chi soffre e sperimenta la fatica del vivere quotidiano, ricordava il messaggio centrale della resurrezione, come annuncio della gioia: “Il cristianesimo non è facile, ma è felice”. Questa frase mi ha fatto rievocare tre esperienze certamente non facili, dove noi cristiani siamo chiamati a testimoniare il Vangelo della gioia ed essere cristiani felici: la “Campagna della fraternità” della Chiesa brasiliana che quest’anno ha come tema: “Fraternità e superazione della violenza”; l’esperienza che vivo ogni mercoledì visitando il carcere di Pinheiro dove ci sono circa 380 prigionieri in una struttura per 200 persone; l’esperienza vissuta con una famiglia dirigente di una comunità ecclesiale di base, dove la madre, molto sofferente e alle soglie della morte, è stata miracolata attraverso la preghiera costante di tutta la sua comunità. Ma cosa significa essere cristiani felici? Essere Vangelo della gioia, cristiani felici, significa per noi cristiani immergerci nell’esperienza di Gesù Cristo risorto e, penetrati nel suo mistero pasquale di amore siamo chiamati a farci prossimo, toccare con le nostre mani tante situazioni di morte, di ingiustizia o di soffrimento e aiutare tutte queste persone a sollevarsi (resurrezione appunto) da tutto ciò che impedisce loro una vita dignitosa ed in abbondanza. Si, perché, attraverso la sua resurrezione, Gesù ci invita a sperimentare come l’amore di Dio è più forte del male e della stessa morte; come l’amore di Dio può trasformare la nostra vita, perché l’amore sconfigge l’odio, la vita vince la morte, la luce scaccia le tenebre. E sempre immersi nel suo mistero di amore, sperimentiamo non solo un Gesù Cristo che, per amore a noi, ha svuotato sé stesso, ha assunto la forma di servo e si è umiliato fino alla morte, e alla morte di croce; ma anche un Gesù che con la sua morte e risurrezione ci indica la via della vita e della felicità: questa via è l’umiltà. Si, perché solo chi si umilia incontra Dio e desidera imitare le opere da Lui realizzate. Così, mentre l’orgoglioso guarda dall’alto (della sua presunzione) in basso (delle miserie umane) e si distanzia, giustificandosi che non è suo il compito di inter-venire (nel senso proprio di “venire tra” le sofferenze e ingiustizie umane per sentirle sulla sua propria pelle); l’umile invece guarda “dal basso in alto”: dal basso delle sue incapacità, ma che con un cuore che si fa carico delle difficoltà di chi lo circonda, guarda verso l’alto, verso Dio che è l’Onnipotente in misericordia, riuscendo così ad essere segno della presenza del Regno di Dio tra noi. Ci vuole umiltà, allora; perché non si può vivere la Pasqua senza entrare nel suo mistero con cuore umile. Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: perché cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell’amarezza … dove incontriamo unicamente la morte. Ed ecco allora che l’angelo del Signore ci sussurra: “Non cercate lì Colui che è vivo!”. E le tre esperienze citate all’inizio della mia riflessione, come la nostra stessa fede, ci insegnano che per risorgere anche noi siamo chiamati a vivere una caratteristica dell’umiltà: siamo chiamati ad “inchinarci” davanti alle sofferenze dei fratelli. Gesù Cristo stesso, prima di risorgere “discese” agli inferi e lo stesso Vangelo ci annuncia che al mattino di Pasqua Pietro e Giovanni, quando corsero al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto, si avvicinarono e si “chinarono” per entrare nel sepolcro. Qui incontriamo, a mio modesto parere, il segreto della felicità e della gioia mistagogica di incontrarci con il Signore: per entrare nel mistero della resurrezione bisogna “chinarsi”, abbassarsi, per svuotarci di tutto il nostro orgoglio, egoismo, indifferenza …: solo chi si abbassa vive la risurrezione di Gesù e può seguirlo sulla sua strada. A tal proposito ricordo papa Francesco quando dice: “Il mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, di farsi valere … Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi. Questa non è debolezza, ma vera forza! Chi porta dentro di sé la forza di Dio, il suo amore e la sua giustizia, non ha bisogno di usare violenza, ma parla e agisce con la forza della verità, della bellezza e dell’amore”. Nello stesso tempo, mi viene in mente il cammino quaresimale che qui in Brasile stiamo vivendo con la campagna della fraternità: “Fraternità e superazione della violenza”, perché dal Signore risorto dobbiamo implorare la grazia di non cedere all’orgoglio che alimenta la violenza, ma di avere il coraggio umile del perdono e della pace. Infatti, secondo il testo base di questa campagna, la mappa di violenza nel Brasile calcola durante il 2016 una media di 123 persone assassinate ogni giorno e durante il 2015 si sono verificati 43.000 persone assassinate con arma: ci sono più omicidi nel Brasile, rispetto a qualsiasi Paese in guerra! E questa situazione è relazionata con il sistema economico escludente e capitalista, che ha il suo centro nel guadagno e non nell’essere umano. Come ha sottolineato il Santo Padre nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno “Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti (Matteo 24,12)” siamo chiamati a vigilare per non abitare anche noi “nel gelo dell’amore soffocato” perché “alcuni falsi profeti inganneranno molti, tanto da minacciare di spegnere nei cuori la carità che è il centro di tutto il Vangelo”. Questi falsi profeti sono “truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare”. Per questo motivo, insieme al papa Francesco, dobbiamo costruire una società di pace e di giustizia: “Pace e libertà chiediamo per tanti uomini e donne soggetti a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali. Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l’armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne. Agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati; ai malati e ai sofferenti; ai bambini, specialmente a quelli che subiscono violenza; a quanti oggi sono nel lutto; a tutti gli uomini e le donne di buona volontà giunga la consolante e sanante voce del Signore Gesù: «Pace a voi!» ( Luca 24,36) «Non temete, sono risorto e sarò sempre con voi!» (cfr Messale Romano, Antifona d’ingresso del giorno di Pasqua)”. Ecco perché mi sembra opportuno fare nostre le parole di papa Francesco, affinché possiamo essere messaggio vivo di gioia, di speranza e di pace in un mondo diviso dall’avidità di chi cerca facili guadagni, dilaniato dalla violenza del narcotraffico e dallo sfruttamento iniquo delle risorse naturali: “Allora, ecco l’invito che rivolgo a tutti: accogliamo la grazia della risurrezione di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace. E così domandiamo a Gesù risorto, che trasforma la morte in vita, di mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo pace per il mondo intero”. Si, perché la risurrezione ci parla di un Dio pieno di amore e tenerezza, che scende per incontrare i suoi figli, per fargli una proposta di vita nuova e invitarli a vivere in comunione con lui, l’umanità ed il creato. Ecco, allora, la secondo esperienza che vorrei condividere con voi; quella che vivo nel mondo del carcere, e soprattutto il contatto con i cosiddetti “prigionieri provvisori” che non avendo la possibilità di pagarsi un avvocato, vivono nell’attesa di un “terzo giorno” che tarda ad arrivare per conoscere almeno se sono giudicati innocenti o colpevoli. Questa sofferente attesa mi spinge periodicamente a bussare alle porte del difensore pubblico, affinché possa almeno recarsi in carcere per ascoltare questa gente e vedere di incontrare quanto prima una soluzione. E mentre mi sento continuamente ripetere: “Padre, lascia queste… persone in carcere per non dare ulteriori problemi nella società”, il con-tatto invece con queste persone mi fa vivere l’esperienza di un Cristo risorto che ci dona un Dio che non esclude nessuno e che non accetta che nel suo nome vengano inventati sistemi di discriminazione o marginalizzazione dei fratelli. E così mi ricordo le parole di don Tonino Bello, quando diceva che “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuna con il suo sigillo di morte, chiusa in un mutismo che sembra invincibile. Quella mattina il Risorto ha mostrato alle donne che è possibile il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la scoperta della parola che genera una primavera di rapporti nuovi. E che se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adoperasse per rimuovere il macigno dal sepolcro accanto, si ripeterebbe nuovamente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo”. Abbiamo bisogno urgente, allora, come messaggeri del vangelo della gioia di ripetere questo terremoto che scuota la nostra e la vita degli altri, perché guardandoci attorno, a volte incrociamo persone (quasi sempre ben intenzionate) che inventano meccanismi di esclusione, segregazione e sofferenza, in nome di un Dio severo, intollerante, distante, incapace di comprendere i limiti e le fragilità dell’uomo. Il Dio che siamo invece invitati a scoprire, amare, testimoniare nel mondo, è il Dio di Gesù Cristo che viene all’incontro di ogni uomo, che compatisce la sua sofferenza, che tende teneramente la sua mano, che lo purifica, che gli offre una vita nuova e lo integra nella comunità del Regno, in questa famiglia dove ognuno ha un posto e dove tutti sono figli amati da Dio. L’atteggiamento di Gesù nei confronti degli esclusi dalla società del suo tempo è un atteggiamento di vicinanza, di solidarietà, di accettazione. Gesù non si preoccupa di ciò che è politicamente o religiosamente corretto, o con l’indegnità della persona, o con il pericolo che pone per un certo ordine sociale: Egli vede in ogni persona solo un fratello che Dio ama e al quale è necessario tendere mano e amore. Oggi noi, invece, abbiamo leggi (alcune scritte nei nostri codici legali civili o religiosi, altre che non sono scritte ma sono consacrate dalla moda e politicamente corrette) che stanno generando emarginazione e sofferenza. Come Gesù, non possiamo conformarci a queste norme ingiuste; non possiamo imitare i farisei che, installati comodamente sulle loro certezze e pregiudizi, perpetuavano, anche in nome di Dio, un sistema religioso che generava sofferenza, miseria e esclusione e non si lasciavano neanche mettere in discussione dalla novità di Dio. Il Vangelo ci suggerisce invece che l’incontro con Gesù deve trasformare la nostra vita a tal punto da non riuscire a trattenere la gioia per la novità che Cristo ha introdotto nella nostra esistenza e per questo, sentendo ardere i nostri cuori di amore per Lui, dobbiamo testimoniarlo e uscire dai nostri gusci di comodismo e indifferenza. Non stanchiamoci allora di ripetere: Cristo è risorto! Ripetiamolo con le parole, ma soprattutto con la testimonianza della nostra vita. La lieta notizia della risurrezione dovrebbe trasparire sul nostro volto, nei nostri sentimenti e atteggiamenti, nel modo in cui trattiamo gli altri. Diciamo con il papa Francesco a chi incrociamo sul nostro cammino “accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. (…) Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Con il nostro atteggiamento, con la nostra testimonianza, con la nostra vita, diciamo: Gesù è risorto!”. Questo invito mi fa ricordare come, durante una celebrazione eucaristica di ringraziamento per la recuperazione della salute di una animatrice di una comunità ecclesiale di base della parrocchia, sua figlia si è rivolta ai presenti, dicendo di non chiuderci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita. Ed eccomi alla terza esperienza che voglio condividere: un’animatrice di Ceb’s, dopo una terribile caduta, forse causata da un ictus, vegetava nel suo letto senza più riconoscere i suoi stessi parenti. I medici ormai avevano sentenziato che non si sarebbe più recuperata, ma la famiglia e l’intera comunità ecclesiale di base era perseverante nelle sue preghiere elevate al Dio della misericordia. Quante volte ho visto la figlia con le lacrime agli occhi e nel cuore, inginocchiata davanti al letto della madre dove c’era un’immagine del Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Maria, supplicando per la cura della madre. E la sua semplice ma genuina fede ha realizzato il miracolo. Di fronte a questo episodio stavo pensando come a volte siamo così stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, che pensiamo di non farcela. Allora, ecco come suona forte l’invito della nostra fede: non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai, perché non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui. Come ci ricorda don Tonino Bello: “Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via”. L’annuncio gioioso della Pasqua ci offre la consolante certezza che l’abisso della morte è stato varcato e sono stati sconfitti il lutto, il lamento e l’affanno. Lasciamo che la nostra esistenza sia conquistata e trasformata dalla risurrezione! Auguri, allora, di una vera risurrezione a ciascuno di noi”.