Accadeva veramente di tutto all’interno del carcere che fu diretto dal biscegliese Sergio Cosmai, ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1985 per vendetta proprio per il rigore con cui faceva applicare leggi e regolamenti. Più che un carcere, la casa circondariale di Cosenza era diventata una sorta di albergo per alcuni dei detenuti, quelli più autorevoli e influenti sul piano criminale.

E’ proprio la memoria del dottor Cosmai a essere offesa e lesa dai fatti scoperti dall’indagine condotta dai Carabinieri sotto le direttive della Dda di
Catanzaro che ha portato all’arresto di due agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Cosenza. Si tratta di Luigi Frassanito, di 56 anni, e di Giovanni Porco, di 53, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa.

Nicola Gratteri, Procuratore distrettuale di Catanzaro, in conferenza stampa ha messo in evidenza i tratti significanti dell’indagine: “Questo lavoro poteva essere svolto tanti anni fa. Questa indagine, infatti, fa parte di quel pacchetto di inchieste ferme, dimenticate, alle quali nessuno aveva messo più mano, sui fatti gravissimi avvenuti all’interno del carcere di Cosenza”.

In cambio di denaro Frassanito e Porco, stando all’accusa che viene loro contestata, si erano permanentemente posti a disposizione delle consorterie mafiose, garantendo ai detenuti di poter continuare ad avere contatti con l’esterno, e in particolare, con i sodali liberi. Secondo quanto ha riferito il comandante provinciale di Cosenza dei Carabinieri, colonnello Pietro Sutera, alcuni esponenti di spicco delle cosche cosentine, come i “Lanzino-Rua’-Patitucci”, i “Bruni-Zingari” e “Rango-Zingari” venivano volutamente ristretti in celle che affacciavano sulla strada in modo da consentirgli di impartire ordini all’esterno attraverso persone appostate sotto il carcere. In tal modo sarebbero stati veicolati all’esterno messaggi, anche mediante ‘pizzini’, per sviare le indagini in corso su omicidi o impartire disposizioni sugli imprenditori da mettere sotto estorsione.

All’interno del carcere poi, ai boss più influenti potevano arrivare sottobanco stupefacenti, alcolici, generi alimentari e tutto ciò che potesse servire a rendere più confortevole la detenzione. E gli agenti che rigorosamente effettuavano il loro dovere hanno subito rappresaglie per il
rifiuto a farsi coinvolgere negli affari illeciti.

Fonte Foto: Corriere della Calabria